sabato 23 gennaio 2016

Un thriller


"La casa si snodava in decine di stanze, molte delle quali si affacciavano su un lungo corridoio. Stava iniziando la notte e noi ospiti dell'appartamento eravamo quasi pronti per andare a dormire. Soprattutto i bambini.
Provai ad accendere la luce della nostra camera ma sembrava fulminata. Anche l'altro interruttore funzionava a vuoto, e rimanemmo in un buio inquietante, rischiarato appena da un rossastro baluginare delle lampadine che non volevano accendersi.
Anche il corridoio era immerso nel buio, e tornando in quella stanza opprimente mi resi conto che non sapevo più dove fosse finita mia figlia.
Un vociare diffuso sempre più agitato mi fece realizzare che era inutile cercare la luce in altre stanze.
E poi arrivò lui, comparso quasi dal nulla nel corridoio, con un mantello nero lungo fino alle caviglie e i capelli lucidi. Il suo pallore era l'unica cosa che lo faceva distinguere in quella penombra soffocante, e non riuscivo a smettere di guardarlo, alto e magro come Dracula, con il cuore terrorizzato e la voce che non riusciva più a chiamare il nome di mia figlia.
Uscire, dovevamo solo uscire!
Sentii la sua voce di bimba poco distante e pensai a come scappare trascinandola per mano, mentre attorno a noi aumentava il panico. Ma le porte erano sprangate: eravamo in trappola.
Probabilmente ne sarebbe uscito solo uno vivo, alla fine del gioco.
Lo sapevo perfettamente, ma non mi importava per me: ero solo disperata per la mia bambina…"

(Autore: la parmigiana di melanzane per cena)


venerdì 22 gennaio 2016

La gita nella foresta

In autunno sono stati in gita nella foresta con la scuola.
C'era un vento apocalittico ed ero terrorizzata che potesse cadergli qualche ramo sulla testa.
"Che dici? Gli metto il caschetto della bici?" avevo proposto a Brontolo, consapevole che sarei stata derisa; ma un tentativo dovevo pur farlo.
E l'ho coperto bene.
Benissimo.
Così bene che mi è tornato a casa con la canottiera completamente bagnata e la maglia termica a chiazze, le calze bagnate dal sudore dei piedi, e rosso come un peperone.

In inverno sono tornati in gita nella foresta.
Se c'è una cosa che si può dire di me, è che imparo presto dai miei errori perchè sono sveglia e acuta.
E così mi sono adeguata, e ho messo da parte la mia italianità riponendo la tuta da sci che avevo già tirato fuori dall'armadio.
E l'ho coperto meglio stavolta.
Meglissimo.
Così meglio che non è proprio tornato a casa, ma sono dovuta andare a prenderlo a metà gita nella foresta, in preda ad un principio di ipotermia.

Per fortuna ci saranno altre due gite stagionali: avrò modo questa estate, di mettergli la tuta da sci...

martedì 19 gennaio 2016

Goditi il viaggio!

Capitano quelle giornate che vorresti non dover affrontare.
Guardi sconsolato alla tua mole di impegni e se ti proponessero di addormentarti finchè non è tutto finito, affrontato da qualcun altro, non avresti un'esitazione.

Avevo la prima visita della giornata alle 7.30 stamattina; nemmeno immaginavo che fossero già aperti a quell'ora, gli specialisti.
Esco di casa nel buio fitto di una notte non ancora finita, gratto il ghiaccio ostinato sui finestrini e mi avvio piano lungo la strada che sembra deserta, evitando pedoni intirizziti e ciclisti (fuori di senno, con questo gelo!) visibili soltanto all'ultimo momento.
La sala d'attesa è ancora fredda, le stanze dello studio medico sono chiuse e buie, e il telefono che squilla ti fa trasalire, quasi un insulto stridulo alla quiete ovattata della mattina.
Quando esco è poco prima dell'alba, e un chiarore pallido avvolge i campi spolverati di neve.
Supero il fiume ghiacciato, le distese di terra arata visitate da grossi corvi, e infine scorgo una luce rossastra filtrare dalle mie finestre, carica di calore.
Alla radio un tenore sconosciuto sta cantando Volare, e per la prima volta riesco ad ascoltarla fino alla fine, stupita dalla sua dolcezza.

Ci sono giornate così pesanti che vorresti poter saltare a piè pari, cancellandole dal calendario.
Ma quando ti ci tuffi dentro ti accorgi che fra una montagna e l'altra ci sono scorci romantici, panorami inaspettati, e che in fondo potrebbe essere anche bella questa scalata…



venerdì 15 gennaio 2016

Il figlio

Sono in fila alla sanitaria, alla ricerca di una pancera speciale per la mia schiena malandata.
L'attesa sembra lunga, così mi siedo pesantemente sulla poltrona per i clienti. Accanto a me una vecchia signora mi sorride indecisa se darmi confidenza; il suo viso è una ragnatela di rughe, e l'unica zona non aggrinzita è il naso a patata, ben teso e lucido.

Un anziano signore parla con la commessa da diverso tempo, col berretto beige a tesa larga in testa e i capelli candidi come la neve che gli spuntano da sotto.
Quando la vecchia si alza a fatica e gli si avvicina, l'uomo improvvisamente sembra giovane accanto a lei.
"Riesci a firmare senza gli occhiali?" le chiede con dolcezza porgendole una fattura, poi firma al suo posto. La aiuta ad infilare una giacca in ecopelle rossa, che con quella gonna di panno celeste sembra quasi Gretel appena sbucata dai boschi.
Poi la prende sotto braccio e l'aiuta a scendere le scale, mentre lei cerca di divincolarsi per uscire da sola. Una volta alla macchina la vecchia si lascia cadere sul sedile - l'ho visto fare centinaia di volte a te, nonna- e dopo un sospiro si aggrappa al gancio dell'auto per girare lentamente le gambe e metterle all'interno.
Lui aspetta per chiudere il portello, ancora giovane e rassicurante, ma quando resta solo fuori dall'auto si trasforma.
Sale alla guida e parte, anziano e fragile mentre si immette nel traffico senza superare la vertiginosa velocità di 20 km/h.

E rivedo mio padre, quando guardava sua madre con gli occhi che tradivano una tenerezza infinita per quella donna che lo aveva cresciuto.
E vedo me, fra una cinquantina di anni, solcata da una ragnatela di rughe. E qualcuno dei miei figli, forse, se sapranno amarmi abbastanza.
Non ci sono differenze, non c'è razza né nazionalità nella vecchiaia o nelle premure di un figlio.

Con gli occhi lucidi mi alzo a fatica -la schiena dolente, la pancia che tira.
E' arrivato il mio turno.